“Nàccheras” di Ilenia Zedda – Recensione

Buongiorno cari readers, oggi vi racconto Nàccheras di Ilenia Zedda, al suo primo romanzo in uscita il 12 maggio per la DeA Planeta, che ringrazio per il file.

Nàccheras - Trama
Cala dei Mori è un posto speciale. Sul fondo del mare, raggiungibili soltanto con una lunga apnea, enormi conchiglie custodiscono un dono: è il bisso, la seta color oro che ha vestito i grandi re dell’antichità, e che oggi una sola donna al mondo è in grado di raccogliere e di tessere. Quella donna è il Maestro – ma molti, avendone paura, preferiscono chiamarla “strega” – e sta insegnando i suoi segreti alla nipote Caterina che, a dispetto dei suoi tredici anni e di un corpo che sta per sbocciare, ogni giorno al calar del sole si tuffa nella Cala e insegue la perfezione spirituale che quel compito richiede. Sa di non essere ancora pronta, ma sa anche di avere il mare nell’anima e nel destino. Nascosto dietro gli scogli, Francesco la osserva e la ama a modo suo, in silenzio, ammirando la grazia dei suoi gesti. È uno scapestrato, Francesco, appartiene a un popolo di minatori, devoto alla terra, nero di carbone, testardo come la roccia e come il dolore che si agita nel suo sangue. Forse è per questo che non è mai riuscito a rivolgerle neanche una parola? Ma soprattutto, come si diventa qualcosa di diverso da ciò che tutti si aspettano? Ambientato in una Sardegna arcaica, suggestiva e piena di mistero, questo romanzo è spinto da una magia implacabile e ritmica come un’onda increspata dal maestrale. E sa raccontare con delicatezza un’età di incontri imprevisti, di responsabilità indesiderate, di scelte che possono determinare una vita intera.

Caterina è figlia del mare, Francesco è figlio della terra: il loro è un incontro di anime, il loro giovane amore si incontra là dove la terra incontra il mare, là dove il mare accarezza la terra.

Siamo a Santa Lucia, un paesino sardo che si affaccia sul mare e l’autrice ci racconta la storia del bisso, una seta nata nel mare da un mollusco particolare, che solo le donne della famiglia di Caterina raccolgono e filano da sempre con amore, dedizione e gratitudine.

Su Maistu diceva all’acqua sei essenza della mia esistenza e Caterina lo ripeteva, ne cercava la rima, l’allitterazione come fosse a scuola, come se d’un tratto la sua testa fosse stata scoperchiata e qualcuno avesse iniziato a metterci dentro sacchi di sapere e mattoni, a formare una casa ma che dice, un castello alto e solido, sempre aperto ai visitatori. Il suo mondo fatto di fili e terre, di qualche certezza del mondo, un mondo fatato che nessuno aveva mai avuto il coraggio di afferrare.
E cosa è una vita già scritta, l’atmosfera che ti circonda scelta da altri prima di te? Quale sensazione di libertà si può descrivere?

La nonna sente che è pronta e sta insegnando a Caterina i segreti dell’apnea per accompagnarla fino al suo destino di Maistu, maestro, ma lei è confusa perché è divisa tra il mare, che comporta amore spirituale e dovere, e il suo amore fisico per Francesco.

Nessun istante le sembrava più importante come quello passato con Francesco, anche a sentirlo parlare a scuola dall’ultimo banco, anche a sentirne il calore mentre mangiavano pezzi di pane e cioccolato per merenda tutti assieme e il mondo le sembrava fermo, come se fossero dentro un carcere e quella era l’ora d’aria.
Aveva capito, dopo le serate alla Cala a disperarsi, di vivere per raccontarsi assieme a lui. Che fossero sogni raccontati a una sé immaginaria, che incontrava nel cortile prima di spogliarsi o dopo aver letto un libro appassionante, dove tutte le parole erano Francesco, sempre e solo i suoi occhi, sempre e solo la sua pelle abbronzata.

Caterina pensa sempre a Francesco.

Francesco ormai è l’uomo di casa, ha problemi con la madre e con la sua vita che gli va un po’ stretta, pensa sempre a Caterina e vive per aspettare il tardo pomeriggio quando la segue di nascosto e la guarda quando lei scende alla Cala dei Mori per salutare il mare.

Non osa parlarle ma quando la vede si sente libero e vero.

Ed è proprio quello che gli dice Tziu Antiogu, anziano del paese e suo saggio amico:

«È quello che a loro dà più fastidio, che non sei come loro. Non devi essere un altro per farti accettare da tre ignorantelli che tra qualche anno avranno la pancia piena di birra dalle dieci della mattina. Magari ce l’avrai anche tu, ma devi imparare a non essere pecora. Perché pecora altrimenti ci saresti nato. Tu sei diverso, Caterina è diversa a suo modo pure. Se vuoi piacerle sii te stesso e stai attento, come ti ho sempre detto. Le persone intelligenti sono pericolose quasi quanto i carrelanos, se non le sai capire.»

Francesco chiese al vecchio se conosceva un modo per farsi perdonare dalle persone così. «Il modo verrà se lo saprai cercare» rispose.

La placida aria del paese viene movimentata dall’arrivo di un forestiero: nessuno lo conosce ma tutti sono curiosi e hanno da dire la loro, e Francesco e Caterina, entrambi tredicenni ma già cresciuti, si ritrovano mano nella mano in un piccolo mistero in una storia colorata di mare e sole. 

È il primo di romanzo di una giovane scrittrice sarda, che ci racconta con garbo una storia di un paese come tanti nel nostro territorio, con i suoi abitanti un po’ duri come la terra e un po’ segnati dalla vita, portandoci per mano nelle sue leggende, tradizioni e modi di fare e di essere. 

Mi è mancato solo un piccolo dizionario per le poche parole in sardo sparse nel libro, niente comunque che un po’ di intuito non riesca a superare.       

Io ve lo consiglio, Nàccheras è il racconto delicato di un giovane amore che nasce, una storia di persone vere come la vita; girando le pagine del libro mi sembrava di sentire sulla pelle il sale del mare e di sentire l’odore della terra bruciata e arroventata dal sole, guardando da lontano l’immagine tremolante di un paese nell’aria bollente di un’estate sarda.

Come non leggere questo libro stesi su una sdraio in giardino, con una profumata e zuccherata tazza di tè verde con foglie di menta, alla marocchina, ad accompagnarci. 

Buona lettura.
Rekla

Voto per Nàccheras

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