“La mia prediletta” di Romy Hausmann – Recensione

Buongiorno readers! La mia prediletta è il libro d’esordio di Romy Hausmann, pubblicato in Italia da Giunti Editore.

La mia prediletta - Trama
In una notte gelida, un’ambulanza porta in ospedale una donna investita da un’auto sul ciglio del bosco. È incosciente e senza documenti. Con lei c’è una bambina dalla pelle bianchissima e gli occhi di un azzurro glaciale. L’unica informazione che riesce a dare su sua madre è che si chiama Lena. A poco a poco, però, lo strano comportamento della piccola insospettisce i medici. Non conosce il suo cognome, né il nome di suo padre, né l’indirizzo di casa: vivono chiusi in una capanna perché «nessuno li deve trovare». E il terrore sale quando la bambina afferma innocentemente, come se fosse la cosa più normale del mondo, che sua madre «ha ucciso per sbaglio papà», ma non serve chiamare la polizia perché hanno lasciato il fratellino Jonathan a ripulire quelle brutte macchie rosse sul tappeto… Appena viene avvisato, il commissario capo Gerd Bru?hling ha subito un’intuizione: quella donna non può essere che Lena Beck, la figlia del suo migliore amico, scomparsa 14 anni prima. Ma c’è qualcosa di vero in ciò che racconta quella strana bambina? Come ritrovare la capanna, il fratellino e il cadavere del rapitore, se davvero è stato ucciso? All’arrivo dei genitori di Lena in ospedale, una realtà ancora più sconcertante verrà alla luce. E sarà difficile districarsi in questa rete di verità, fantasie infantili, indizi contrastanti.

Appena ho visto questo libro, ne sono stata attirata come una falena dalla fiamma. In un periodo non dico di blocco del lettore, ma in cui nessuna lettura riusciva ad appassionarmi come una volta, non ho potuto non comprare questo Thriller psicologico, morbosamente incantata anche dalla copertina che risulta essere in rilievo, con un font per il titolo graffiante. Anche i dettagli dentro trovo siano molto curati e suggestivi.

Ora, sapete che io non sono molto creativa per quanto riguarda le parole, spesso mi lascio guidare dai sentimenti e basta, le metafore non sono il mio forte, ma pensate a questa copertina, con il titolo e la casa/gabbia in rilievo, provate a immaginare cosa si provi a passarci sopra la mano prima di leggere il libro: la sensazione di claustrofobia, di terrore, orrore. Vi posso dire che a fine lettura questa sensazione risulterà decuplicata.

Scusate, lo so che forse mi sto soffermando troppo su dettagli che solitamente nemmeno considero, ma La mia prediletta è stata una lettura a tutto tondo, emozionante, addirittura sensoriale.

Il Daily Mail ha definito questo libro «Claustrofobico, terrificante, feroce, avvincente.»
Io non sono solo d’accordo, ma aggiungo anche agghiacciante, angosciante, disarmante. Tutti aggettivi riferibili a situazioni che nel normale vissuto si cerca di evitare il più possibile. Ma in un libro? Se riferiti a 380 pagine intrise di inchiostro, capaci di sprigionare emozioni, di risucchiarci in esso, allora possono rendere quel libro un vero caso editoriale.

In La mia prediletta viviamo la storia di Lena, di Jess, di Mathias, di Hanna e molti altri. Tutti protagonisti, tutti vittime anche se in modi differenti. La storia è talmente intricata che non posso nemmeno dirvi tutto come vorrei, altrimenti mi ammazzereste per gli spoiler. Per semplicità, mi atterrò parzialmente alla trama riportata sul libro, perché davvero rischio di rovinarvi il piacere della lettura.

Una donna viene investita e portata in ospedale, con lei c’è anche sua figlia, che non si comporta normalmente, vive in un mondo tutto suo, fatto di regole, di meccanismi, non conosce la via dove abitano, non sa il nome di suo padre…

L’angoscia prende piede…

«In realtà sappiamo cosa si deve fare. Abbiamo le nostre regole. Solo che la mamma a volte se le scorda. […] Voleva uccidere per sbaglio il nostro papà. […] Non occorre che lo dica alla polizia. Ci pensa Johnatan alle macchie sul tappeto.

L’angoscia inizia a salire…

È l’inizio, il vaso di pandora che in realtà era già stato aperto ma che a questo punto viene spalancato, ancora un po’, sempre di più, sempre più velocemente.

È il momento in cui si incrociano le strade di altri personaggi, in particolare il commissario capo Gerd, che pensa che questa donna possa essere la figlia dell’amico scomparsa da così tanti anni… La figlia che aveva giurato di ritrovare, ma di anni ne sono passati 14.

4825 giorni. Il conto, quello che tiene Matthias, il padre di Lena. I giorni che sono passati dall’ultima volta che ha sentito la voce di sua figlia, che l’ha vista. 4825 giorni di agonia, in cui lui e sua moglie sono stati sospesi tra la speranza e la rassegnazione. 4825 giorni dalla promessa che gli aveva fatto l’amico, di ritrovarla, la sua Lena. Promessa mai mantenuta, poche parole rassicuranti che se non mantenute sono capaci di rovinare forse per sempre un rapporto, soprattutto se uno dei due ha un carattere rancoroso e testardo.

Infine, la chiamata. La corsa a poche ore di distanza da casa, possibile fosse sempre stata così vicina e mai trovata? Il senso di colpa per aver fallito come padre nel proteggere la propria bambina.

L’arrivo. La rivelazione, la realtà, quella sconcertante, quella agghiacciante… ma è solo l’inizio.

Il libro non lascia respiro, l’autrice non ce ne lascia, perché è tutto un susseguirsi di colpi di scena, magari non eclatanti, a volte una sola parola, un’insinuazione, ma basta e avanza. Ed è in quel momento che di solito cambia il POV, costringendoci ad andare avanti, a leggere ancora una parte, un capitolo, forse due e taaaac, sono le 2 di notte!

È un libro in cui gli indizi vengono seminati come bricioline di pane, leggeri, inconsistenti, ma ci sono, e non sempre si riescono a cogliere, a vedere, indice di bravura.

È un libro in cui i misteri si susseguono, in cui si entra nella mente del carnefice, oltre che delle vittime, in cui l’angoscia ci attanaglia sempre di più, in cui si vorrebbe urlare per chi non può. In cui si perde la speranza, ma poi si ritrova, e poi…

Poi si prende coscienza di quello che è il libro. Una denuncia, un omaggio, alle persone rapite, abusate psicologicamente, ma soprattutto alla loro forza, perché per sopravvivere a tutto questo ce ne vuole davvero tanta.

È un libro che fa capire quanto possa essere pericoloso anche solo camminare per strada, anche se già lo sappiamo, ma

Aveva ragione Gerd: c’è differenza tra supporre e sapere.

È un libro scritto dannatamente bene. L’autrice è stata non brava, di più nel caratterizzare i personaggi, le diverse tipologie di vittime, talmente brava che sembra davvero di essere nella loro testa, faticando a volte a capire come ragionano, il perché delle loro decisioni, odiandoli addirittura. Ma quello che noi vediamo come un comportamento cocciuto, altezzoso, a volte è solo il frutto del dolore, o del non aver conosciuto altri modi, altri metodi, altre realtà.

Sotto questo punto di vista, forse il mio personaggio preferito è quello di Hanna, bambina di 13 anni che non può che fare tenerezza. Sì, ci sono stati certi momenti che… boh, non so nemmeno io che pensare, ma perché prima ho detto che questo libro è agghiacciante? Lei forse ce lo fa capire meglio, perché se c’è una cosa che non possiamo sopportare, sono proprio gli abusi su minori, “seppur” psicologici, che forse sono anche peggio.

Perché consiglio questo libro? Perché è agghiacciante in modo affascinante (anche se sembra un contro senso), perché è capace di entrarvi dentro, toccarvi l’anima, credere di aver capito tutto, cosa sia successo, chi sia il vero responsabile, ma credetemi quando vi dico che non capirete davvero se non alla fine.
Perché è un libro che riesce, in una sola volta, a farvi vivere non una vita, ma più di una, con tutto ciò che questo comporta.
Perché davvero poche volte ho letto di personaggi così ben fatti e strutturati.
Perché non punta tanto sulla trama, quella potrebbe benissimo essere trita e ritrita, ma quello che davvero rende eccezionale questo libro sono i temi, il ritmo, le sensazioni, la capacità di catapultarvi all’interno di esso e no, non riuscirete a uscire quando vorrete voi, sarete in trappola, come Lena, come Hanna, come Matthias, alla mercé dell’autrice.

L’unica nota stonata è la poca presenza di Jonathan, lui non ha un punto di vista, lui viene quasi lasciato in disparte, ma mi riservo di rifletterci qualche giorno ancora per provare a intuire i motivi dell’autrice. O magari lo capirò in seconda lettura, perché questo è sicuramente un libro che rileggerò.

E se l’autrice è stata in grado di regalarci un libro così bello ed emozionante, con una trama accattivante, uno stile avvincente e scorrevole già alla prima pubblicazione in assoluto… ho quasi paura di sapere cosa ci riserverà con il suo secondo libro… e voi?

Un libro da leggere tutto d’un fiato, per cui 5 stelle sono anche poche, e mi è capitato davvero poche volte di pensarlo. Un libro che vi stupirà, e che alla fine vi strapperà un sorriso di trionfo, di rivincita.

Un thriller che, per la prima volta in assoluto per me, si colloca come primo classificato tra tutti i generi in un intero anno di letture…

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