“Il sussurro delle api” di Sofia Segovia – Review Party

Ciao, readers! Oggi il libro di cui vi parlo è Il sussurro delle api di Sofia Segovia, uscito il 16 giugno per la Rizzoli, che ringrazio per il file.

Il sussurro delle api - Trama
Sono i primi anni del Novecento e gli echi della rivoluzione hanno raggiunto, insinuandosi tra campi e colline, la campagna fertile di Linares: un laborioso, coriaceo angolo di Messico dove sorge l’hacienda dei Morales. È in questa famiglia che vive la nana Reja, l’anziana nutrice che ha cresciuto generazioni di bambini e ora trascorre i giorni sulla sedia a dondolo. Finché una mattina, vincendo la sua leggendaria immobilità, Reja s’incammina e arriva al ponte, come svegliata da un richiamo. In un viluppo di stracci, proprio lì, e circondato da un nugolo di api, c’è un neonato. Lo chiameranno Simonopio, questo bambino magico che gli insetti non pungono, questo bambino dannato che al posto della bocca sembra abbia un buco. In silenzio, il piccolo impara a leggere i voli delle sue amiche api e da quelli a capire le oscillazioni della natura e i suoi presagi. Così, mentre l’epidemia di influenza spagnola colpisce la regione e tradizioni arcaiche si infrangono contro l’onda di un tempo nuovo, la famiglia Morales si affida all’intuito di Simonopio. E costruirà grazie a lui un nuovo futuro.

Il sussurro delle api è un’epopea familiare in cui la dimensione privata e le grandi vicende storiche si fondono in uno scenario di incredibile potenza visiva, in un mix composto da fatti storici realmente accaduti e altri di pura licenza artistica.

Tra la Rivoluzione messicana del 1910 e la pandemia dell’Influenza Spagnola del 1918 ci troviamo catapultati in Mexico a seguire la vita della famiglia Morales, proprietari terrieri dell’hacienda La Amistad a Linares.
Chi ci racconta la sua storia e quella della sua famiglia è Francisco Morales jr., chiamato il piccolo Francisco, che ormai vecchio, vive dei suoi ricordi, tra rimorsi e rimpianti, sorrisi e lacrime, e tanta nostalgia.

Quella che mi vide nascere era una casa viva. Nessuno si spaventava se a volte emanava odore di zagara in inverno o se nel cuore della notte si sentiva qualche risolino privo di proprietario: facevano parte della sua personalità, della sua essenza. In questa casa non ci sono fantasmi, mi diceva mio padre: quelli che senti sono gli echi che ha tenuto da parte per ricordarci tutti coloro che sono passati di qui.

E ricorda per noi come tutto iniziò, con nana Reja.

Reja non aveva scelto quel luogo per ripararsi dagli elementi, bensì per la vista di cui poteva godere e per il vento che, attraversando il labirinto di montagne, scendeva fin lì per lei.
Anni e anni trascorsi sulla sedia a dondolo fecero sì che la gente del posto dimenticasse la sua storia e la sua persona: Reja era diventata parte del paesaggio e aveva messo radici nella terra su cui si dondolava.
Il suo corpo era diventato legno e la sua pelle una corteccia dura, scura e piena di solchi.
Quando le passavano davanti, nessuno le rivolgeva un saluto, proprio come non si saluta un vecchio albero moribondo.

Nana Reja fa la balia da una vita, da quando dopo aver perso il suo bambino aveva iniziato a dare il suo latte ai piccoli senza madre, o con madri malate e senza latte, fino ad arrivare nella famiglia Morales che gli diede negli anni 22 figli da accudire.

Oggi, oramai anziana, la si può vedere sempre seduta sulla sedia a dondolo sotto la tettoia della sua capanna, dalla mattina presto fino a sera tardi, a guardare verso il sentiero che corre tra le montagne.
Sempre lì, fino a una mattina dell’ottobre 1910 quando nana Reja si alza dalla sua sedia a dondolo per andare nel bosco fino a raggiungere il ponte, richiamata dal pianto di un bambino.  

Era un neonato con il volto sfigurato, protetto dalla mantiglia della nana e da un manto di api vive. In quanto a prime impressioni, che sono sempre molto importanti, Simonopio, come venne poi battezzato su insistenza di nana Reja e nonostante le obiezioni dei miei genitori e del prete, non ne aveva lasciata delle migliori.

Un bambino sfortunato avvolto nel mistero: non si sa chi sia la madre, nessuno si spiega come avesse fatto Reja a sentirlo da così distante, è inspiegabile perché sia ricoperto da un manto di api senza essere punto, ma al contrario accudito e difeso.

Era deforme: aveva un buco al posto della bocca, si intrattiene e si inebetisce con le api, ride da solo, non sa parlare, fa finta di cantare, non capisce niente. Quanto si sbagliavano.

 Simonopio è il bambino delle api e ha una dote magica: sente il sussurro delle api, legge i presagi attraverso i loro occhi e vede il tempo cambiare al battito delle loro ali, non sa e non può spiegare come, ma la sua famiglia ben presto si fida delle sue sensazioni e segue i suoi consigli e avvertimenti.

Non tutti però; qualcuno come Anselmo Espiricueta pensa che sia figlio delle streghe o del diavolo e lo vuole allontanare, lo vuole uccidere per liberarsi del male.

Vide. Vide la morte nella piazza, nelle strade. Vide i corpi uno sopra l’altro sul carro stipato, gettati fuori dalle case. Vide i cani randagi banchettare. Vide la morte dei Morales, uno dopo l’altro. E con loro vide morire la possibilità di colui che ancora non era nato.

Arriva l’ottobre 1918 e con l’autunno arriva a Linares l’influenza Spagnola: la gente si ammala e muore nel giro di pochi giorni, intere famiglie si ritrovano insieme nelle fosse preparate ogni giorno dal becchino al camposanto, gli amici di una vita non ci sono più e il paese si svuota inesorabilmente.

Simonopio, inconsapevole, salva la vita della famiglia Morales, che si sposta nell’hacienda la Florida e riesce a sopravvivere alla pandemia, ma subito un altro pericolo la minaccia.

È ancora la Rivoluzione, che porta via terreni e uccide persone nel nome della patria.

È il coyote, che da sempre spaventa Simonopio e che sente che prima o poi si avvicinerà troppo, cambiando la vita delle persone che ama.

Perché il sentiero delle api non era quello degli uomini: mentre lui cercava passaggi alternativi, loro volavano oltre cespugli e spine, indifferenti alla mancanza di sentieri aperti. Gli avvallamenti tra i monti non rappresentavano un problema per le api; le salite non le stancavano, e le gole, sempre difficili da percorrere dai bipedi come lui, le lasciavano imperturbate. Se durante il percorso pioveva, si scrollavano l’acqua di dosso. Se prima di rientrare venivano colte dal freddo, sapevano che a fine giornata sarebbero tornate al calore dell’alveare, piene di energia grazie al miele primaverile.

Francisco Morales, grazie a Simonopio, cambia il suo futuro e salva la sua terra con un fiore di Zagara.
L’intera famiglia Morales passa attraverso varie vicende personali e storiche, e si rialza sempre, anche se non sempre indenne.
Ma la premonizione, che il bambino delle api ormai sente prossima, si sta avvicinando come una nube oscura e un’altra tragedia li colpisce, piegando fortemente la famiglia Morales.

E allora le venne in mente che il futuro non era più coerente con il passato.
«Il futuro è da un’altra parte» disse tra sé, decisa, al buio.

La vita non si ferma, ci fa cadere e rialzare, e poi cadere ancora, ma va sempre avanti, operosa come un’ape alla ricerca del suo tesoro.

È il racconto di una famiglia con i suoi alti e bassi, un libro che vi entrerà dolcemente nel cuore: la sua scrittura è pacata ed evocativa, ogni personaggio è vivo e indimenticabile, vero nelle proprie caratteristiche fisiche e caratteriali, e ve lo farà amare o odiare con forza: Doña Sinforosa, Beatriz Cortez, Francisco Morales, Simonopio, nana Reja e Pola, Anselmo Espiricueta e la sua disgraziata famiglia, il piccolo Francisco con le sorelle Carmen e Consuelo, grandi e piccoli personaggi che fanno parte della storia e che fanno la storia.

Girando le pagine sentirete il profumo dei dolci della nonna, avvertirete il dolce ronzio delle api e il profumo del miele, e nelle descrizioni dei luoghi e delle persone, vivrete lo spaccato storico della vita e cultura messicana del secolo scorso.

Per ritrovare Simonopio e le sue api provate una tazza di infuso di arancia e cannella addolcito con un cucchiaino di miele di ciliegio, e un piccolo dulce de leche quemada con le noci, come quello preparato da nonna Sinforosa.

Buona lettura,
Rekla

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